Elsa Mezzano, o della trascendenza

Scorrendo le recensioni di importanti rassegne fotografiche si trovano titoli che intendono porre in evidenza le caratteristiche degli autori quali “Cronista girovaga” “Magia del consueto” “Obiettivo che fruga” “Obiettivo psicologico”; e così via incensando si inanellano termini che spesso non trovano poi riscontro nelle immagini in mostra. Per la quarantina di opere che Elsa Mezzano espone alla Galleria “Studio Arte 71”, a Palermo, il titolo “La vita” spiega invece bene quanto l’autrice riesce a liberare dai volti fotografati. “Liberare”, perché gli scatti della sua Nikon hanno la cadenza dei ritmi del cuore. Per dire, che è col cuore che la Mezzano si confronta, in una sorda lotta vincente all’interno di quella frazione infinitesimale di tempo che vive prima dell’inesorabile clic della macchina.

Elsa possiede una specie di sonda, meglio, di cordone ombelicale che unisce l’emozione all’automatismo tecnico del marchingegno fotografico. Il risultato non è dunque il frutto voluto di un perfezionismo ossessivo ma soltanto un incanto che la possiede quando entra in contatto con il soggetto, ossia, con “la vita”.

Alcune comunità non acculturate si spaventano di fronte all’obiettivo del fotografo. I primitivi spiegano che riprodurre la loro immagine provoca un terremoto interiore che porta al disfacimento dell’anima. Ecco perché ne difendono l’integrità al limite dello scontro fisico col fotografo. Elsa Mezzano è assidua frequentatrice di tribù metropolitane acculturate che sanno ormai difendersi con abilità ipocrita da certi assalti: hanno sì imparato ad esibire i loro volti, ma li mascherano. Ed è in quel momento che Elsa vince la sua battag1ia per la verità, semplicemente entrando in numinoso contatto col soggetto.

Gli infingimenti con Elsa non servono perché lei riesce a costringere l’anima ad evadere per un attimo dalla prigione del corpo che la contiene, e la cattura. L’intervento medianico sull’alito vitale del soggetto fotografato lo si intuisce da quella tenue sfumatura di luce che esce da mani intrecciate, o dal brillio di uno sguardo di occhi neri che luccica laggiù, nel fondo già scuro del volto ritratto. La fotografia di Elsa Mezzano a volte è una fotografia acuta e penetrante che mette a nudo le gioie e i dolori dei personaggi incontrati. Altre volte invece è una carezza tenera e avvolgente che si adagia come una seta sopra un volto teso, restituendogli la fissità classica, senza tempo.

La tecnica di ripresa della Mezzano non è fine a se stessa e non intralcia mai ciò che lei sa vedere in quel momento. Regolare il tempo e il diaframma è automatismo inconscio e il pulsante è premuto soltanto quando da un gesto minimo o da un’occhiata complice o furtiva esala il baleno, fino ad allora represso, della vita. Nell’inseguire con caparbietà il filo magico che la guida verso “La vita”, Elsa ha conosciuto persone che hanno costruito o continuano a fabbricare cultura. Sono entrati nel suo mirino personaggi eccellenti: dal pianista Jazz Mal Waldron, alla scrittrice Carmen Covito, dall’“alchemico” Pierre Klossowski (fratello di Balthus) al compianto critico d’arte Luigi Carluccio, all’“esuberante” critico d’arte Achille Bonito Oliva, dal facondo Ignazio Buttitta a Sabina Guzzanti dalle multifacce, dall’incisivo e rigoroso scrittore Tahar Ben Jelloun al raffinato poeta Aldo Gerbino. Impossibile citarli tutti. Ma ad ognuno di questi Elsa Mezzano ha restituito la loro vera faccia. Mai ha rapinato la scellerata documentazione volgare di un gesto scomposto, ha invece saputo distillare nelle immagini dei volti l’essenza rarefatta dell’anima.

Solo per la danzatrice Rosita Mariani ha compiuto una consapevole trasgressione. Forse per lei non ha guardato nel mirino, forse Elsa si è mossa al ritmo del balletto di Rosita: fatto è che ha trasformato un’immagine in geroglifico. E’ riuscita a fissare in una elegante geometria l’idea del movimento, ha tramutato la danzatrice a simbolo della danza stessa. Un’alchimia. Chi ha avuto il privilegio di vedere Elsa al lavoro ne parla come di un “incontro ravvicinato”: «Un vago sorriso di bambina le illumina sempre il volto antico. L’armamentario a tracolla che, come un soldato, non abbandona mai. Quando inizia a fotografare il suo apparecchio diventa una prolungamento delle mani. Le persone cercano il suo obiettivo come richiamate da una musica incantatrice. E lei le segue inesorabile, con l’occhio della macchina fino all’ineluttabile scatto che le renderà “vitali per sempre”».

Nel salotto della casa di Rivoli dove vive col marito, lo scultore Enzo Sciavolino, campeggia un grande paesaggio in bianco e nero della campagna senese. Fotografia che aveva esposto qualche anno fa alla Biennale di Venezia. Per questo lavoro Elsa deve avere rovistato fra i suoi ricordi d’amore e scelto quello per la terra. Come avviene con i ritratti, ha fermato il respiro vitale della Madre Terra. Guardandolo, infatti, si possono sentire fischi e fruscii uscire dal sottobosco mentre colline mammellute e brumosi declivi ondeggiano febbricitanti sotto un cielo gravido di grigi misteri.

E’ schiva Elsa Mezzano. Non parla volentieri di sè, e i perché e i percome del suo lavoro appartengono soltanto a lei. Sono semplicemente le opere che fanno capire come esse valgano più di tante parole: un perentorio invito a vivere col coraggio d’una volta quando ancora non eravamo vittime di psicologici lutti. Perché come indaga Jung: “...Col passare degli anni, senza che ce ne accorgiamo la nostra energia non è più attratta verso gli scopi d’un tempo; l’entusiasmo è diventato routine e l’ardore abitudine. Uno sguardo all’indietro non mancherà di farci vedere lati e aspetti di noi che avevamo dimenticato”. Ecco perché i nostri volti sconfitti spesso indossano maschere.

In questa avvincente mostra Elsa ha compiuto interventi fotografici ai nostri cuori, inserendo straordinari by pass per consentire all’energia di defluire senza blocchi e permettere così quello “sguardo all’indietro” senza paura del confronto. Elsa Mezzano dunque recupera nella fotografia quel soffio vitale che pensavamo perduto. Chissà che oggi alla scoperta dei volti in rassegna allo Studio 71 non capiamo finalmente, come Elsa riassume in un categorico clic: “che l’uomo non può sopportare una vita priva di senso. Neppure per un momento”.

Carmen Covito