Elsa Mezzano

Non fidatevi delle donne schive. Sotto apparenze di tranquillità, gentilezza e perfino innocente candore, nascondono talvolta uno spirito acuto come un acciaio tagliente e uno sguardo capace di incidere in profondo oltre la superficie della realtà. Facendomi il ritratto, Elsa Mezzano mi ha levato la pelle. Sono io, esposta dal suo sguardo molto più di quanto forse mi piacerebbe, eppure non mi posso non piacere: perché la verità dell'espressione colta e fissata da Elsa in un attimo in cui abbassavo la guardia è dura, sì, ma scorre limpidamente tra i margini imposti da una necessità formale che rende la verità un dettaglio soltanto nella composizione dell’immagine.  Se sono io, con tutta quella forza e rabbia e determinazione compressa che, è proprio vero, mi caratterizza ma di solito pochi se ne accorgono, a questo punto non ha più importanza.

Questa fotografia mi trascende, trascende il suo soggetto. E vedendo i ritratti e le composizioni fatte altrove e su altri, ho poi notato nella tecnica di Elsa l'insistere accentuato sulle tracce del movimento, le scie di luce, i vortici di vento, le sgranature che trasformano la liscia superficie del reale in un pulviscolo poroso, e mi è venuto un sospetto. Che la fotografia di Elsa Mezzano non trascenda soltanto i suoi soggetti ma, oltrepassando con hybris intrepida gli stessi vincoli imposti dalla composizione dell'immagine, miri a una trascendenza più profonda. No, non si tratta di tirare fuori l’anima delle cose o distruggere la materia o altre consimili banalità, per queste non c'è spazio nelle opere di Elsa.

C’è piuttosto la tentazione di trascendere la forma, avventurandosi nel reame di ombra e luce assolute che l’occhio fotografico può vedere e fissare come flussi di probabilità, particelle che sono al tempo stesso onde, figure, eventi quantistici, brandelli di bellezza subatomica, nuclei di informazione sulla natura della conoscenza.

Nevio Boni