Sguardi sulla soglia

Una imprendibile vaghezza si coglie nella passerella di ritratti di Elsa Mezzano. L’espressione, è ripresa dal Vasari, mentre descrive un’Adorazione dei Magi di Rosso Fiorentino, a proposito del carattere che deve avere un’opera d’arte. Nel senso, aggiungo, che la verità del personaggio o della scena, mai completamente rivelata, deve rimanere avvolta in una sorta di inafferrabile mistero. Penso che 1’espressione ben s’attagli ai ritratti di Elsa Mezzano, in riferimento ad una metafisica assenza che fondamentalmente intesse i segni della loro innegabile presenza. L’ossimoro mi serve per supportare la posizione di bilico, tra presenza e assenza, appunto, nella quale vivono, ma anche la suggestione della rarefazione dei termini che si coglie, allo stesso modo, nella sfibratura di taluni paesaggi o di talune scene e che è spesso 1’elemento attraverso il quale si rivela la vita nella sua messa in immagine. E’ in fondo 1’inesprimibile che si avverte nei silenzi, vuoi nella pensosa espressività di alcuni ritrat¬ti, vuoi nella fugacità di un presente nel quale è bloccata la storia.

O le storie. Quelle raccontate e che si coniugano dietro le righe; le poetiche, quelle che animano le persone; o le pause, quelle che a cui alludono certi sguardi; o i gesti, a volte rarefatti dal movimento che disegna la pagina di luci, di ombre, di colori anche.

E’ in fondo un apparente apparire, poiché la realtà avviene al di là, non negata, quanto sug-gerita, nell’assorto racconto di un’atmosfera espressa, a volte, per le vie di una pacata ironia, leggera, quasi una carezza. In fondo, un atteggiamento sereno, attraverso il quale la Mezzano trasforma la foto in un gesto d’amore, d’affettuosa trasposizione in immagine del soggetto che diviene un testo, sia quando lo sguardo si fa ampio e solare nei paesaggi di Sicilia - sintetico e vibrante ancora - sia quando il ritratto emerge dal morbido modellarsi della luce e dal suo misurato rapporto con le ombre. Elsa Mezzano non elabora un documento, ma con la foto inizia un viaggio, una esplorazione che apre innumerevoli vie di lettura, di interpretazione, che si addentrano nell’essere e nel non essere del personaggio o della visione. Elementi questi che, proprio per il loro porgersi, o per questo essere sulla soglia, instaurano un intrigante e seducente rapporto con il “lettore”. Col viaggiatore quindi che, per vie d’anima, esplora espressioni che sono dimensioni che divengono geografie puntiformi, all’interno delle quali si sviluppano o si sgranano i caratteri e all’interno delle quali possono trovarsi direzioni che suggeriscono strade per 1’anima.. Come ambienti, gesti come segni, come parole, come rappresentazioni figlie di una surrealtà, a volte, che esalta ed emoziona, come taluni scatti su scene teatrali nei quali gli attori sono colti nell’apparire e nei quali, ancora, il gioco morbido delle luci e delle ombre e il mezzo che cattura, fa svanire e divenire imprendibile, ma nello stesso tempo rivela la magia di un tempo che non appare tanto fissato quanto sospeso; che si porge nella suggestione stessa della inarrestabilità dell’evento. Tra presenza e assenza, appunto, come nella “Festa dell’Uva a Valledolmo”, nella quale la verità si coglie nell’inverosimile viluppo di immagini che divengo¬no ritmi fluidi di un vedere che cerca nell’esaltazione del gesto che sfugge, la sua “infinità”.

Franco Spena